Forti tensioni sui prezzi delle materie prime, energy cruch, costi della logistica alle stelle, fattori climatici. Il post Covid sembra scandito da fiammate senza precedenti sui costi di produzione, che inevitabilmente si abbattono su filiere sempre più interconnesse tra loro. E tutto ciò, tra fine anno e inizio 2022, rischia di scaricarsi sui prezzi finali al consumatore con rialzi medi stimati tra il 2-3 per cento. Ma dove potrebbero concentrarsi maggiormente i rincari? Se gli aumenti sulle bollette sono ormai certi (+29,8% elettricità, +14,4% del gas per la famiglia tipo, così quantificati da Arera), tanto che le previsioni hanno già spinto il Governo a intervenire d’urgenza, anche altri prodotti e servizi iniziano a registrare tensioni sui listini. A preoccupare sono innanzitutto i prezzi all’ingrosso dell’agroalimentare, spinti dal caro delle materie prime. A certificare livelli mai raggiunti nell’ultimo decennio, in particolare sui cereali, sono i dati aggiornati a settembre di Borsa merci telematica italiana (Bmti) rispetto allo stesso periodo pre-Covid, depurati quindi dell’effetto-lockdown: l’esplosione del prezzo del grano duro nazionale (+96%), dopo il crollo dei raccolti nordamericani, si è riversata sui prezzi all’ingrosso della semola, cresciuti del 90% rispetto a due anni fa. Ma anche le quotazioni del grano tenero sono in crescita, tanto che il prezzo all’ingrosso della farina è in aumento del 19% da prima della pandemia. Le impennate degli oli vegetali stanno mantenendo elevati anche in Italia i prezzi all’ingrosso degli oli di semi (+69% su settembre 2019). E i maggiori costi iniziano a ricadere sull’alimentazione zootecnica e, di conseguenza, sul prezzo di carni, latte e formaggi: a pesare sono gli aumenti di mais (circa +50%) e soia (+60%) rispetto al 2019.
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