Non è un Paese per mamme lavoratrici: in Italia nel 2020 sono state 42mila le dimissioni di neogenitori, 77 per cento donneNon è un Paese per mamme lavoratrici: in Italia nel 2020 sono state 42mila le dimissioni di neogenitori, 77 per cento donneNon è un Paese per mamme lavoratrici: in Italia nel 2020 sono state 42mila le dimissioni di neogenitori, 77 per cento donneNon è un Paese per mamme lavoratrici: in Italia nel 2020 sono state 42mila le dimissioni di neogenitori, 77 per cento donne
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Non è un Paese per mamme lavoratrici: in Italia nel 2020 sono state 42mila le dimissioni di neogenitori, 77 per cento donne

23 Settembre 2021

Nel 2020 ci sono state 42.000 dimissioni di genitori di bambini da zero a tre anni con un calo del 18% rispetto al 2019. Il dato arriva dall’Ispettorato nazionale del lavoro che segnala come le donne siano il 77% del totale delle persone che si sono dimesse. Oltre il 92% delle dimissioni e risoluzioni consensuali riguarda lavoratori inquadrati come operai o impiegati, con un’età tra i 29 e i 44 anni e nell’88% dei casi la decisione di lasciare il lavoro è presa nei primi 10 anni di servizio. Nell’anno della pandemia sono diminuite soprattutto le dimissioni dei padri (-31,1%) rispetto a quelle delle madri (-13,6%).
Le cessazioni da rapporto di lavoro complessive nel 2020 sono state oltre 9 milioni con un calo del 17,7% sul 2019. La motivazione prevalente è la scadenza del contratto, che coinvolge più di 6 milioni di rapporti (-17,6% sul 2019). Le cessazioni richieste dal lavoratore e dalla lavoratrice, comprese le dimissioni (categoria all’interno della quale si inseriscono le dimissioni convalidate, ovvero quelle che riguardano genitori di figli con meno di tre anni) sono state 1,5 milioni (-15,1%). La condizione di genitorialità – si legge nel Rapporto Inl- ha strutturalmente un impatto diverso sulla partecipazione al mercato del lavoro di uomini e donne. Sussiste infatti una relazione tra la diminuzione degli indicatori relativi alla partecipazione e all’occupazione in coincidenza della maternità e in relazione al numero dei figli. In presenza di figli la partecipazione maschile aumenta e quella femminile si riduce. Il passaggio avviene col primo figlio e si incrementa con il secondo, senza particolari differenziazioni a livello territoriale. Questa dinamica ha valori più elevati nella classe di età 25-34. La dinamica è inversa anche per l’inattività. In presenza di figli aumenta l’inattività delle donne e diminuisce quella degli uomini.
L’occupazione delle donne con un caponucleo tra i 20 e i 50 anni è al 60% in assenza di figli tra zero e un anno nel nucleo familiare e al 50% con un figlio minore di un anno mentre nella stessa fascia l’occupazione maschile è all’86% senza figli tra zero e un anno e al 90% in presenza di neonati. Su 42.377 convalide arrivate da neogenitori la tipologia di recesso più frequente è costituita dalle dimissioni volontarie (oltre il 94%) mentre le dimissioni per giusta causa e le risoluzioni consensuali sono pari rispettivamente a circa il 4% e al 2% del totale. Il 77,4% si riferisce a donne. Sul complesso dei richiedenti, il 61% ha un figlio, il 32% due figli e il 7% più di due. L’età del figlio che più incide in questo fenomeno è quella fino ad un anno, quindi prevale l’esigenza di primo accudimento. L’86% delle convalide è di italiani. Il 92% delle dimissioni arriva da impiegati e operai. Circa la metà dei neogenitori che lasciano il lavoro hanno iniziato a lavorare da meno di tre anni.
L’ambito produttivo in cui le convalide sono maggiormente concentrate permane il terziario, settore con significativa presenza femminile a cui si riferiscono oltre il 72% dei provvedimenti adottati; rilevante anche il dato dell’industria, pari a circa il 15% del totale e dell’edilizia, pari a poco più del 3% del totale. Sul totale delle convalide, la motivazione più frequente continua ad essere la difficoltà di conciliazione dell’occupazione lavorativa con le esigenze di cura della prole sia per ragioni legate alla disponibilità di servizi di cura (38% del totale delle causali) che per ragioni di carattere organizzativo riferite al proprio contesto lavorativo (20% del totale delle motivazioni indicate). “Esiste una profonda differenza di genere – scrive l’Inl – nel dato relativo alle motivazioni in quanto la difficoltà di esercizio della genitorialità in maniera compatibile con la propria occupazione è quasi esclusivamente femminile. Le segnalazioni di difficoltà di conciliazione per ragioni legate ai servizi di cura o ragioni legate all’organizzazione del lavoro, infatti, riguardano donne in una percentuale tra il 96% e il 98%. La prevalente motivazione delle convalide riferite a uomini è invece il passaggio ad altra azienda”.

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