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Decreto Cura Italia: stop ai licenziamenti per 60 giorni

29 Marzo 2020

di Rosa Sica

Il Decreto ‘Cura Italia’ prevede il divieto di dare corso ai licenziamenti di unità di personale per 60 giorni.

La riduzione dei consumi legata alle chiusura delle attività economiche emanata dai DPCM 11 marzo 2020 e dal DPCM 22 marzo 2020 hanno portato ad una riduzione delle attività lavorative. La chiusura delle attività commerciali al dettaglio, fatta eccezione per le attività di vendita di generi alimentari e prima necessità ha comportato una netta riduzione della produttività.
Questa situazione, qualora dovesse perdurare, potrebbe costringere gli imprenditori ad adottare misure organizzative volte a compensare la diminuzione del fatturato mediante la riduzione del personale adetto che potrebbe risultare in esubero.
Per questo motivo il D.L. 17 marzo 2020 n. 18, il cosiddetto ‘Cura Italia’, ha previsto delle misure per quanto riguarda i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo e le procedure di licenziamento collettivo.

Divieto di licenziamenti per 60 giorni nel Decreto Cura Italia

La situazione che abbiamo raccontato – che porta ad una riorganizzazione produttiva per esigenze non dipendenti dall’impresa – è quella che viene comunemente definita “giustificato motivo oggettivo” di licenziamento.
La definizione di giustificato motivo oggettivo di licenziamento deriva dall’art. 3 della Legge n. 604/66, secondo esso è dovuto a: ragioni inerenti l’attività produttiva, di organizzazione del lavoro e di regolare funzionamento di essa.
Questa motivazione è quella che può portare il datore di lavoro anche all’avvio di procedure di licenziamento collettivo. Si tratta di licenziamenti dovuti a ragioni economiche sui quali è intervenuto il Governo con il D.L. 17 marzo 2020 n. 18.

Con questo decreto il Governo ha fatto divieto ai datori di lavoro, indipendentemente dal numero di dipendenti occupati, di recedere dal contratto di lavoro per giustificato motivo oggettivo (art. 3 Legge n. 604/66).

Sostanzialmente, il Governo ha bloccato, per 60 giorni, la possibilità per le imprese di applicare:

-Licenziamenti per giustificato motivo oggettivo;
-Licenziamenti collettivi.

Il licenziamento dei dirigenti, invece, è sempre possibile.

Un aspetto interessante può essere quello legato alla possibilità di licenziamento dei dirigenti. Infatti, l’art. 46 del D.L. 17 marzo 2020 n. 18 fa esplicito riferimento alla Legge n. 604/66 non applicabile al personale dirigenziale.
Nel caso di recesso dal rapporto di lavoro dirigenziale per ragioni economiche, infatti, la norma di riferimento è l’art. 2118 del codice civile e non l’art. 3 della Legge n. 604/66, inapplicabile al personale dirigenziale per espressa previsione dell’art. 10 della Legge n. 604/66.

Questo significa che non vi è il divieto di licenziamento individuale per ragioni oggettive per i dirigenti aziendali. Questa categoria di lavoratori, quindi può essere licenziata a causa del Covid-19 anche nel periodo di vigenza del divieto di licenziamento (per 60 giorni) valido per tutti gli altri lavoratori.

Come funziona la cassa integrazione in deroga?
Il decreto Cura Italia ha previsto ulteriori sostegni per il mondo del lavoro, estendendo a tutto il territorio nazionale e a quasi tutti i settori produttivi la cassa integrazione in deroga; la stessa viene resa fruibile anche da parte delle aziende che già beneficiavano della cassa integrazione straordinaria.

L’ottica è quella di fornire la maggiore assistenza possibile alle imprese, specialmente le medio-piccole, che costituiscono la gran parte della nostra realtà produttiva.

La richiesta della cassa integrazione in deroga può essere presentata da quelle aziende che hanno sospeso in tutto o in parte la propria attività, per la durata massima di nove settimane; più o meno il medesimo periodo previsto per il blocco dei licenziamenti collettivi e individuali, nei termini sopra chiariti.
Altre misure di sostegno sono l’assegno ordinario erogato dai fondi di solidarietà, che normalmente è pari all’integrazione salariale; quest’ultima normalmente consiste nell’80% dello stipendio che sarebbe stato riconosciuto al lavoratore per le ore non lavorate, per ragioni che non dipendono dall’azienda di appartenenza.
L’integrazione salariale sostituisce lo stipendio.

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